Riproponiamo – su autorizzazione dell’autore, che ringraziamo – una interessante analisi pubblicata oggi sul sito Adesso!Metropoli, in cui si parla anche di noi.
“Vedo Orfini disperato. Quando si entra nel merito, mi ha detto una volta, non c’è più la politica.” Matteo Renzi, alla Direzione Nazionale del PD del 4 aprile 2016, dopo avere argomentato con puntualità e dettaglio in merito ai risultati ottenuti dall’Italia in campo energetico, usa queste parole per sottolineare la difficoltà di fare politica partendo dai contenuti. Nello stesso consesso Renzi più avanti afferma: “Il primo che si chiama renziano si deve far curare da un medico.” Intendendo in tal modo ribadire, per l’ennesima volta, la sua opposizione a logiche correntizie.
Nella vita del PD, dalla sua nascita, vi è un tipo di esperienza che va nelle due direzioni evocate dal Segretario: le primarie, quelle virtuose, come ad esempio le nazionali del 2012 e le milanesi del 2016. Che hanno visto schieramenti trasversali, attratti dal programma o semplicemente dal carisma del candidato. Alla chiusura delle urne, per quelle aggregazioni che hanno sperimentato un lavoro comune basato sulle idee, risulta difficile il rientro nelle logiche di schieramento. La domanda che ogni volta si pone è: come continuare un’esperienza che ha visto lavorare insieme persone così ideologicamente diverse fra loro?
Il primo caso importante si è verificato dopo la sconfitta di Renzi nel 2012. Nei comitati c’era di tutto, dal comunista che riprendeva a fare politica dopo anni di delusioni, al liberale, convinto che in Italia fosse necessario il “lavoro sporco” che la Thatcher fece nel Regno Unito, al socialista riformista, al cattolico sociale. Renzi non ne costruì una corrente e i “renziani della prima ora” si sono limitati ad associazioni politico culturali, come ad esempio Adessomilano e Adessometropoli, che non sono mai entrate nelle logiche spartitorie. Lo schema era ed è chiaro: si mantiene un comun sentire attraverso gli appuntamenti della Leopolda ma l’attività nel partito la si porta avanti individualmente, senza imput da Roma. E’ un approccio che rifiuta la colonizzazione e ricolloca spesso gli sconfitti nei territori nelle posizioni di comando che avevano prima. E’ la logica di chi vuole il più velocemente possibile la pace nell’area conquistata, per procedere verso la meta successiva, a implementazione di un disegno generale. Tale processo, che vede i pochi fedeli concentrati al centro del sistema, è funzionale a un visione unitaria, divulga un pensiero radicale nuovo ma trascura completamente le dinamiche territoriali, che vengono viste e valutate solo in modo strumentale. Rispondendo a una domanda nel corso della scuola di formazione politica del PD nel marzo scorso il Segretario affermò: “A chi dice che la rottamazione c’è dappertutto tranne che qui nei territori, io rispondo: dovete pensarci voi.”
Quasi a dar seguito a queste ultime parole di Renzi, nelle aree più mature del Paese assistiamo già a proposte che mettano le idee al centro dell’azione. Creando iniziative che portino al rinnovamento dei quadri dirigenti locali, ribaltando il rapporto politiche/politica. A Bologna, “PerDavvero”, di radice renziana, nasce a seguito dei comitati per Roberto Balzani alle regionali del 2014 e si pone l’obiettivo di un lavoro politico tutto basato sui contenuti. Stessa cosa si può dire per il “PD lib” milanese, sorto nei giorni scorsi dai comitati per Francesca Balzani del 2016. Questi gruppi, come era avvenuto per Renzi nel 2012, non sono omogenei come lo sarebbe una corrente. La loro capacità di stare insieme si basa sulle competenze che sanno esprimere. Il successo di questa loro scommessa passa per due punti irrinunciabili.
Il primo è l’elaborazione di politiche locali che abbiano il consenso sia dei moderati che della sinistra. In particolare gli item su cui lavorare sono legati a pianificazione territoriale e ambiente (non è un caso il prevalere del colore verde nei loghi), alla cultura e alla partecipazione, ovvero temi radicali che hanno ormai catturato l’attenzione anche della popolazione al centro dello schieramento politico. A tal fine l’esigenza di attrarre le migliori conoscenze programmatiche è più consistente che nelle altre anime del partito.
Il secondo è evitare che essi siano percepiti stabilmente dai media e in generale dagli “altri”, come egemonizzati da una sola delle loro componenti. Il giorno in cui ciò avvenisse la compagnia rischierebbe di sfaldarsi. Perché la comunicazione è questione di sostanza, non di forma.
Renzo Gorini
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